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INTRODUZIONE DI FUORITEMPO –  Luigi Ciotti scrive sulla guerra. Trovo giusto il suo invito a tutte le Associazioni, Movimenti, Chiese… di non dividersi proprio sul tema di Giustizia & Pace. E’ l’unica Speranza che abbiamo! Francesco

Perché diciamo “NO” alla guerra
A cura di don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera e fondatore del Gruppo Abele.

Sono molte le ragioni che permettono a cittadini appartenenti a identità diverse (dal punto di
vista culturale, sociale, religioso e professionale) di esprimere un’uguale condanna alla
possibilità di una “presunta” guerra preventiva contro l’Iraq. Ancora una volta le diversità
convergono in un’unica opzione in grado di formare unità tra protesta e proposta. “Non c’è pace
senza giustizia”, non si stanca di ripetere Giovanni Paolo II e, con lui, le tante comunità
civili e cristiane che sono sparse in tutto il mondo e che sono convinte dell’inutilità della
violenza per affrontare e risolvere conflitti.
Le riflessioni che seguono provano a formulare – a voce alta – alcune considerazioni per dare
ulteriore chiarezza e motivazione ad un “No” alla guerra che vuole proporsi anche come “Si” alla
giustizia, alla Pace e alla speranza.

  1. La prima vittima delle guerra è sempre la verità. Il primo vincitore è un certo profitto che
    calpesta dignità, speranza e pace. L’espressione “un certo profitto” indica non solo la volontà
    di controllare le ricchezze naturali ad ogni costo, ma anche il fatto che i veri motivi di quasi
    tutti i conflitti internazionali sono e restano interessi economici così prepotenti da inquinare
    la stessa vita politica chiamata a decidere su questioni inerenti conflitti armati ed entrata in
    guerra di interi popoli.
  2. Il fermo e deciso “No” alla guerra non esprime il solo desiderio dell’Italia del restare
    estranea al conflitto. Il primo “No” è alla guerra in quanto tale. Non vogliamo solo restare
    fuori dalla guerra (con una logica eccessivamente ripiegata sul nostro Paese). Non vogliamo la guerra in quanto tale. Ed anche per questo non vogliamo che il nostro Paese si spenda – con responsabilità politiche, militari e strategiche – per costruire un sistema di guerra che
    inevitabilmente realizzerà morte e disperazione.
  3. Siamo profondamente convinti che il domani è scritto nell’oggi e che il futuro sarà ad
    immagine e somiglianza del metodo e delle pratiche seguite per costruirlo. Alcune dure lezioni sull’inutilità (e sui drammatici costi) della guerra le abbiamo già ricevute dalla storia! Senza dimenticare che conflitti, odio e diseguaglianze escono rafforzati e radicalizzati dai conflitti armati, creando ulteriori e future insicurezze e instabilità. L’abbandono della strada politica non è mai, di conseguenza, soluzioni ai conflitti, ma tragica condanna a spirali di violenza che inevitabilmente alimentano il bisogno di ostilità insanabili.
  4. Nessuno vuole fare o proporre sconti a dittatori e terroristi o alla violenza, da qualunque
    parte questa arrivi. Ciò di cui siamo convinti è che non sono indifferenti la natura e la
    modalità della risposta alla violenza. Anche di fronte all’orrore e alla follia della violenza
    occorre il coraggio del ragionare, del capire, dell’intervenire con lungimiranza e dell’evitare
    la tentazione delle scorciatoie.
  5. Alcune delle ultime guerre internazionali non solo hanno violato le regole fondamentali del
    diritto (i limiti di legittima difesa fissati dal consiglio di Sicurezza dell’ONU nel dicembre
    1975), ma ha anche spazzato via l’idea di un diritto internazionale e la competenza esclusiva
    dell’ONU a deliberare e a realizzare operazioni di polizia internazionale.
  6. La guerra, che dopo l’ultimo conflitto mondiale è stata formalmente vietata dalla Carta delle
    Nazioni Unite e “ripudiata” da molte costituzioni nazionali (compresa quella italiana), ha – in questo periodo – ri-assunto un ruolo di protagonismo. Non solo: non mancano quanti tentano – con linguaggi e motivazioni spesso in-fondate, ma tese a dilatare confusione – di giustificare la necessità di un intervento militare con espressioni tipo “guerra giusta”, “umanitaria”, per  “legittima difesa”, “preventiva”. . Nessuna acrobazia linguistica può trasformare uno strumento al servizio della morte in un’operazione di pace e di vita. Solo nella politica esistono i reali strumenti perché la gestione di un conflitto non debba essere affidata alla violenza e alla logica del più forte, indipendente dalle regioni e dalle legislazioni presenti sul piano internazionale.
  7. Il terrorismo non è figlio della povertà e dell’ingiustizia, ma si alimenta della disperazione
    da esse prodotta. Intervenire politicamente su tali situazioni, vuol dire che “non c’è pace senza giustizia”; significa che intervenire politicamente sulle condizioni di sfruttamento non
    contribuisce solo a realizzare maggior equità e giustizia, ma si rivela anche strumento efficace per vincere qualsiasi forma di terrorismo. Una Pace stabile esige un approccio politico realistico, dialogico e capace di aggredire le cause sociali di sfruttamento, miseria e
    disuguaglianze internazionali per fare della giustizia la premessa di ogni convivere disteso e
    sereno.
  8. Due vincolanti passi ci sembrano necessari:
    · Spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati alle persone. Significa creare le
    condizioni perché non si realizzi tanto e solo una tutela dell’equilibrio tra i governi, ma una
    vera tutela dei diritti fondamentali di ogni cittadino del mondo.
    · Dare agli strumenti internazionali di verifica e di controllo quali il Tribunale Penale
    Internazionale le reali possibilità di sanzionare ogni tipo di abuso e di prevaricazione del
    diritto senza sconti per nessuno e senza eccessive timidezze verso quei potenti che più di altri sono in grado di condizionare organismi internazionali in virtù del loro potere economico.

    Riflessioni sparse per trasformare un “grido” in parola attenta, documentata e precisa; per fare del “No alla guerra” una proposta perché giustizia e politica si sostituiscano alle armi e agli eserciti.
    Non ha senso dividerci su queste questioni. E’ urgente, doveroso e necessario restare uniti,
    intrecciare gli sforzi e opporsi alla logica delle divisioni con uno sforzo teso all’unità e alla
    concretezza del risultato di pace. Associazioni, gruppi, cooperative, chiese, sindacati, libere
    aggregazioni, lavoratori, mondo dello sport, del tempo libero, scuole, operatori dell’informazione, amministratori politici e donne e uomini di buona volontà dobbiamo fare tutto il possibile perché dall’intreccio delle nostre diverse iniziative possa nascere quel mondo possibile caratterizzato dalla Pace e dalla capacità di “fermare il male con il bene”.