Metodo2

Il modello di didattica per concetti

 

Esiste attualmente una varietà di modelli concettuali che vanno affiancandosi al più noto modello di programmazione per obiettivi, largamente praticato nelle scuole, al quale tuttavia vengono mosse alcune critiche, per esempio la non estendibilità a tutte le aree del curricolo e il determinismo in esso sotteso che, aggiunto al frazionamento del processo apprenditivo, poco si coniuga con la complessità del sapere, del funzionamento della mente, della realtà.

Se la pluralità dei modelli è certamente da valorizzare per i suggerimenti che fornisce e le riflessioni che sollecita, va però sottolineato che solo il modello di didattica per concetti, oltre che naturalmente quello per obiettivi, ha raggiunto un elevato grado di formalizzazione, grazie alle ricerche condotte da Elio Damiano.

Per realizzare questo modello sono previsti, secondo Damiano, i seguenti passaggi:

–          Costruzione da parte dell’insegnante di una mappa concettuale scientifica, con i concetti da affrontare e le relazioni che li legano.

–          Conversazione clinica (si veda più avanti).

–          Esame della differenza tra la struttura delle conoscenze così come appare nella mappa concettuale e la matrice cognitiva degli alunni, cioè i concetti spontanei emersi durante la conversazione clinica, rispetto a ciò che ci si propone di insegnare.

–          Costruzione della rete concettuale: progetto dell’Unità Didattica, come individuazione dei concetti da focalizzare con l’azione didattica e loro disposizione in un ordine logico e temporale.

–          Intervento in classe come sequenza di fasi di lavoro, durante le quali gli alunni costruiscono il concetto scientifico principale e quelli correlati. Le attività di apprendimento prevedono il ricorso a diversi metodi, anche integrati tra loro, con strategie che predispongono mediatori didattici di vario tipo: attivi (esplorazione, esperimento), iconici (disegno spontaneo e preordinato, schematizzazioni), analiogici (drammatizzazione, giochi di simulazione), simbolici (parola scritta, ascolto, simboli astratti). La gamma dei mediatori deve essere la più ampia possibile, anche se tutti vengono dichiaratamente subordinati a quello simbolico.

–          Valutazione come rilevazione del tasso di padronanza concettuale, il che significa criteri di valutazione non per confronto, cioè non paragonabili ad un gruppo campione esterno, né ad un punteggio prestabilito come adeguato.

Per accertare le conoscenze invece Damiano prevede l’adozione di una tassonomia che individua le prestazioni ottenute, distinguendole in otto livelli diversi:

  • Riconoscimento dei casi particolari riferibili ad un concetto
  • Definizione come enumerazione dei suoi attributi definienti
  • Discriminazione tra elementi pertinenti e non
  • Applicazione per risolvere un problema
  • Transfer scolastico come applicazione del concetto in altro contesto disciplinare
  • Transfer scolastico
  • Transfer analogico o capacità di trasferire il concetto in senso metaforico o figurato
  • Competenza meta-concettuale o capacità di formulare giudizi sull’applicazione di un concetto, argomentando.

Gli strumenti cui fa ricorso Damiano per la rilevazione della padronanza concettuale sono prove che si basano sulla rappresentazione grafica della conoscenza, sono cioè strumenti logico – iconici (tabelle, diagrammi, insiemi, mappe…), attraverso i quali l’alunno può formalizzare le sue conoscenze.

 

La conversazione clinica

Se è chiaro che per costruirsi una mappa concettuale l’insegnante deve approfondire l’argomento da trattare per far emergere i concetti portanti e le relazioni che li legano, appare meno evidente cosa si intende per conversazione clinica. Intanto va precisato che l’aggettivo “clinica” non rimanda a qualche significato patologico o terapeutico, ma solo alla peculiarità di pensiero di ogni soggetto.

La conversazione clinica infatti si ricollega al colloquio clinico, che Piaget utilizzava per indagare sui processi di ragionamento infantili, e viene intesa da E. Damiano come uno strumento per esplorare quelle conoscenze spontanee dell’alunno che giocano un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento cognitivo, scopo degli interventi scolastici.

L’alunno, come si sa, non è da considerarsi “tabula rasa”, perché giunge a scuola con un proprio bagaglio culturale, spesso costituito da concezioni diverse da quelle accreditate dalla scienza ufficiale che, se talvolta possono rivelarsi addirittura ostacoli cognitivi da superare, fungono in genere da strutture d’accoglienza per in nuovi concetti.

Damiano allora per l’accertamento delle conoscenze spontanee si serve della conversazione clinica, cioè di un’intervista semistrutturata che si articola in:

–          Domande – stimolo, predisposte in precedenza, in forma aperta e di carattere generale (es. “Avete mai sentito parlare di …?”, “Che cos’è per voi…”), le cui risposte il docente ascolta con attenzione, senza esprimere dissenso

–          Domande di specificazione per sollecitare risposte più chiare e meditate (es. “Quando…?”, “Dove…?”, “Da chi…?”)

L’autore sottolinea poi la necessità che l’insegnante riformuli le risposte, servendosi delle precisazioni che la classe suggerisce, in modo da consentire agli alunni di rendere esplicite a se stessi e agli altri le proprie idee, rifletterci e confrontarsi.

Ne dovrebbe derivare la matrice cognitiva della classe, che permette di decidere come adattare il tema organizzato nella mappa, progettando una Unità Didattica che tenga conto dei contenuti preliminari indispensabili (intesi non come pre-requisiti, cioè conoscenze possedute, ma come tipo di conoscenze e loro organizzazione).

L’importante è quindi tener presenti le rappresentazioni mentali emerse nella conversazione clinica, che costituiscono la base su cui gli alunni possono costruire nuova conoscenza attraverso una riorganizzazione dei concetti precedenti: unico modo per rendere significativo l’apprendimento. Così la conversazione clinica è finalizzata sia a sollecitare l’interesse degli alunni verso la questione oggetto di dibattito, che ad orientare l’attività didattica successiva. Si può poi decidere di far leva sulle conoscenze ritenute corrette, oppure scegliere un approccio “dissonante” rispetto ai concetti posseduti, che cioè li metta in crisi facendoli cogliere come inadeguati. Il limite di questo strumento è che l’indagine è rivolta alla classe e nell’ottica dell’individualizzazione risulta difficile ricavare indicazioni sulla matrice cognitiva del singolo alunno.